5 Curiosità sul filetto al pepe verde
Ciao da Luca,
lo sai che cos’hanno in comune la cannabis e il filetto al pepe verde?
Tra un po’ te lo spiego.
Premessa: in questo post non ho intenzione di darti l’ennesima ricetta del filetto al pepe verde, di queste ne trovi online quante ne vuoi. Ma poiché faccio alcune considerazioni che forse non tutti conoscono, ti devo necessariamente spiegare per sommi capi com’è cucinato.
PS: un attimo, la storia della cannabis te la spiego più giù 🙂
Procedimento:
- Si prende un filetto di manzo e lo si mette in padella ben calda, in modo da favorire la formazione della crosticina saporita. Volendo, si può usare un po’ di burro per favorire la formazione della crosticina.
- Si toglie il filetto dalla padella e si sfuma con vino, brandy o altro tipo di spirito. Lo scopo qui è “deglassare” ovvero ridisciogliere la parte di quella crosticina che è rimasta attaccata al fondo della padella.
- Si aggiungono grani di pepe verde, senape, panna, burro e altri ingredienti che a seconda della personalizzazione della ricetta uno può aggiungere o meno, ma la base è questa.
- Una volta ottenuta la salsa, si rimette il filetto in padella e si termina la cottura.
L’uso di senape e burro evidenzia la chiara origine francese di questa ricetta, anche se essa è ormai diventata un classico in tutte le cucine occidentali.
Una ricetta che negli anni 80 “spaccava” e che alcuni ritengono ormai superata. A me però piace riscoprire e far riscoprire sapori di una volta, anche se posso risultare fuori moda.
Fatta questa premessa, ti racconto 5 curiosità che forse non sai:
1. Nonostante sia il più costoso, il filetto di per sé è un taglio poco saporito.
Vediamo perché.
Semplificando moltissimo il discorso, possiamo dire che la carne è costituita da acqua, proteine, grassi e poco altro. Nel dettaglio:
- Acqua: circa 70-75%.
- Proteine: circa 20% (in un taglio magro).
- Grassi: circa 5%.
Sappiamo bene che l’acqua è insapore ma anche le proteine, tranne rarissime eccezioni, sono molecole totalmente insapori.
Il gusto della carne cruda è quindi dovuto solo al rimanente 5%, che per la maggior parte è costituito dai grassi. In realtà neanche i grassi, di per sé, hanno un grosso sapore, ma hanno l’importante capacità di poter assorbire le molecole più saporite.
Per cui, durante la vita dell’animale, i grassi possono assorbire gusti e aromi caratteristici, a seconda di ciò che questo animale ha fatto e ciò che ha mangiato.
L’alimentazione dell’animale è quindi la principale responsabile del sapore finale della carne cruda.
Per la carne cotta, invece, oltre che dovuto ai composti disciolti nei grassi, il sapore è impartito proprio mediante il processo di cottura.
- Cottura veloce: in una cottura come alla piastra o alla griglia, il sapore essenzialmente è dato dalla famosissima reazione di Maillard, la serie di reazioni attraverso cui si forma la saporita crosticina che è ricca di centinaia di molecole saporite e aromatiche.
- Cottura lenta: il sapore è dato sia dalla dissoluzione delle proteine come il collagene, che forma una vera e propria gelatina, sia dalla degradazione di altre proteine che si scompongono nei singoli “mattoncini” di cui sono composte, gli amminoacidi. Alcuni di questi amminoacidi sono molto saporiti, primi tra tutti il famoso glutammato.
Tornando al filetto, esso è inadatto alle cotture lunghe poiché troppo povero di tessuto connettivo, ovvero di collagene.
Per cui il modo migliore di usarlo è cuocerlo velocemente, promuovendo il più possibile la reazione di Maillard.
Essendo però anche troppo povero di grassi, se non facciamo avvenire correttamente la reazione di Maillard il filetto “non saprà di niente”: prova a mettere su una padella poco calda un filetto: ti ritroverai un pezzo di carne incolore e insapore. E a quel punto anche se prolunghi la cottura per ore non ottieni alcun risultato, se non quello di avere bruciato tempo e denaro.
Come possiamo quindi dare sapore al filetto, se non abbiamo la possibilità o la volontà di far avvenire la reazione di Maillard?
Nel corso della storia, i cuochi hanno adottato un banale stratagemma: introdurre i grassi, ed i sapori ad essi legati, dall’esterno. Questo è il motivo per il quale in cucina troviamo spessissimo tagli magri associati a condimenti grassi.
Il filetto al pepe verde è uno di questi esempi.
Curiosità
Nel nostro evento dello scorso novembre, noi di Meatin abbiamo fatto qualcosa in più, utilizzando entrambi i metodi per donare il più sapore possibile al filetto:
1) Abbiamo spinto al massimo la reazione di Maillard, facendo fare al filetto un passaggio addizionale sulle braci ardenti, dopo averlo sigillato in padella.
2) Abbiamo poi continuato il lavoro, deglassando ed aggiungendo gli ingredienti utili a dare sapore previsti dalla ricetta classica.
2. In che cosa è diverso il pepe verde dalle altre varietà di pepe?
Chiariamo: il pepe verde è la bacca acerba della pianta Piper Nigrum, pianta originaria dell’Asia meridionale.
Semplificando al massimo i processi di lavorazione, diciamo che questa bacca può essere messa in salamoia o essiccata. E infatti in commercio il pepe si può comprare in salamoia o in grani essiccati. Se la bacca viene fatta anche fermentare, essa si annerirà dopo qualche giorno, dando vita così al pepe nero. Se invece la polpa della bacca viene rimossa e si mette ad essiccare solo il seme, si otterrà invece il pepe bianco. Il pepe rosa, invece, proviene dalla Schinus molle, una piante completamente diversa che cresce in Sud America, e non ha nulla a che vedere con il pepe verde / nero / bianco.
Ecco qui sotto uno schema semplificato di come si ottengono 1) Pepe verde in salamoia 2) Pepe verde essiccato 3) Pepe nero 4) Pepe bianco.
3. Perché la ricetta prevede l’uso del pepe verde?
Risposta: il pepe verde ha un sapore più erbaceo, aromatico, proprio perché è il frutto ancora acerbo.
E’ un frutto ancora “verde”, per cui ha un sapore più fresco, particolarmente se si usa quello in salamoia. La salamoia, infatti, ha il pregio di bloccare i processi enzimatici che portano all’ossidazione della polpa. Il frutto in salamoia, quindi, risulta più morbido e permetterà un rilascio dei composti aromatici più facile.
La presenza di questi composti “erbacei” presenti nel pepe verde è molto più affievolita nel pepe nero, ed è quasi totalmente assente nel pepe bianco, dove la polpa esterna del frutto è stata rimossa.
E arriviamo finalmente alla curiosità che ho promesso di chiarirti all’inizio: tra i tantissimi composti aromatici presenti nel pepe, in particolare in quello verde, uno di essi è il pinene, dal tipico odore “di pino”. Il pinene, nelle sue due forme alfa e beta, è un terpene dalle proprietà antinfiammatorie presente in tantissimi vegetali, tra cui anche nella cannabis. In particolare, l’alfa-pinene pare essere un efficace broncodilatatore. Uno si fa una canna, e il pinene lo aiuta a respirare a pieni polmoni 😀 😀
Comunque, nel momento in cui i grani di pepe verde incontrano il liquido con il quale abbiamo deglassato la crosticina in padella, essi rilasciano parte di queste sostanze aromatiche, donandogli quel sapore “erboso” che è indice di una buona riuscita di questa ricetta.
Usando pepe nero, o addirittura pepe bianco, questo processo di dissoluzione avverrà in maniera più limitata, fino quasi a scomparire del tutto.
In definitiva, per fare un buon filetto al pepe, la scelta è nell’ordine: 1) Pepe verde in salamoia, 2) Pepe verde essiccato, 3) Pepe nero, 4) Pepe bianco.
4. Che cos’è che dà sapore al pepe?
Il composto principale responsabile del sapore del pepe è, tra tutti gli altri, la piperina, un alcaloide che si trova sia nella polpa che nel seme.
A voler essere pignoli, la piperina non è un vero e proprio sapore. Il suo sapore pungente, infatti, è dato dall’interazione con il nervo trigemino, non con le papille gustative. Lo sapevi? 🙂
Inoltre, nonostante nella nostra quotidianità definiamo “piccante” sia il pepe che il peperoncino, queste due spezie sono in realtà ben diverse tra loro:
- Pepe: piperina
- Peperoncino: capsaicina
La capsaicina è anch’essa un alcaloide, ma da un punto di vista chimico ha una struttura ben diversa dalla piperina, per cui le reazioni chimiche che si generano quando la mangiamo sono diverse.
Ancora più diverso è poi il “piccante” del wasabi o della senape, che è dato invece dall’isotiocianato di allile. A differenza di piperina e capsaicina, l’isotiocianato di allile non è neanche un alcaloide.
Quando qualche amico mi racconta della sua serata sushi, spesso sento dire che “il wasabi è piccante”. Personalmente non riesco ad associare il piccante al wasabi, è una forzatura chimica, e se hai un minimo di palato ti rendi conto che c’è una bella differenza tra l’effetto pungente e persistente del peperoncino e la sensazione intensamente balsamica del wasabi. Ma tant’è, viviamo nell’epoca delle semplificazioni.
5. Per ottenere un buon risultato, evita di schiacciare i grani di pepe verde e cospargerli ai due lati del filetto.
Se metti i grani sul filetto, riduci il contatto tra la carne e la padella.
Questo ha un duplice effetto negativo:
- Minimizza la superficie di carne a contatto diretto con la padella, su cui avviene la reazione di Maillard. Questo vuol dire che otterrai poche zone con la crosticina saporita, per cui quando togli il filetto dalla padella avrai ben poco da deglassare. Deglasserai il nulla.
- Gli unici punti di contatto tra la carne e la padella, o comunque la maggior parte di essi, saranno proprio quelli in corrispondenza dei grani. Per cui il calore della padella si concentrerà proprio sui grani, bruciandoli e generando un cattivo sapore dovuto alla distruzione delle molecole organiche, molto sensibili al calore, presenti nei grani stessi. Per evitare questo inconveniente dovresti lavorare a temperatura più bassa, in modo da evitare il rischio che i grani si brucino. Ma lavorando a temperatura troppo bassa non consentirai alla reazione di Maillard di avvenire correttamente, ed otterrai il tipico effetto “carne bollita” che è indice di una cottura non corretta.
Schema semplificato del processo corretto: la superficie di contatto tra la carne (in rosso) e la padella è massima. La reazione di Maillard può avvenire in maniera larga e completa.
Schema semplificato del processo non corretto: tra la carne (in rosso) e la padella si frappongono i grani di pepe verde. La reazione di Maillard avviene in maniera parziale e il calore si concentra sui grani.
In realtà c’è chi di proposito piazza i grani sulla fetta e cuoce a fiamma bassa per più tempo. L’obiettivo di una cottura condotta in questo modo è proprio quello di minimizzare la reazione di Maillard, ovvero quello di evitare la crosticina e provocare una parziale fuoriuscita dei succhi per poi ritrovarseli nel fondo di cottura. Qui è una questione di gusti, per me il filetto al pepe verde non è una scaloppina. Tu dove li preferisci, i succhi? Dentro o fuori dalla carne?
Ecco fatto, questo è tutto.
Ti ringrazio di aver letto fin qui.
Quando uno ama la cucina, anche una ricetta relativamente semplice come il filetto al pepe verde nasconde storie e particolarità che possono fare la differenza nel risultato finale.
Spero di averti dato qualche notizia utile e di averti tolto qualche curiosità.
Se ti va di darmi il mio punto di vista, mi trovi da Meatin.
Alla prossima.
Luca
Gigi Laudiero
Grazie, grazie, grazie.
È sempre un piacere leggere queste tue mail dove spieghi tecniche e curiosità molto interessanti, a me ancora sconosciute, che mi mettono in condizioni di capire e apprezzare la buona cucina e tutto quello che c’è dietro per farla diventare tale.
Non ti nascondo che, ormai, mi hai abituato aspettarle.
Grazie ancora e … alla prossima
Meatin
Dottore! Grazie, lei è proprio uno di quegli affezionati clienti che ha ispirato questo mio nuovo post. Mi fa piacere che le abbia fatto cosa gradita, le sue parole sono uno stimolo per studiare sempre di più.
La aspetto da Meatin, è casa sua 😀
A presto
Luca
Massimo Christian D'Alterio
Completo e scientifico come al solito.
Una lettura gradevole e scorrevole.
Complimenti da un Chimico!
Meatin
Salve Massimo,
Grazie mille! I tuoi complimenti valgono doppio, allora. Controlla che non scriva cretinate 😆😆😆.
Grazie sempre, ti aspetto!
Luca